Abbiamo chiesto a Chiara Reali se aveva voglia di scrivere due righe su come fosse stata per lei l’esperienza di tradurre Desolation Road. Come spesso accade la sua risposta è stata superiore alla più rosea delle nostre aspettative. Leggete Chiara, qui sotto, e vedrete che le sue parole sono il più bel regalo potessimo ricevere.
Quando i figli di Desolation Road stanno per compiere nove anni, i genitori gli chiedono, avete deciso cosa farete da grandi? Alcuni hanno le idee chiare, altri sanno solo che vogliono scappare.
Se fossi nata a Desolation Road, a nove anni avrei risposto: voglio fare la traduttrice. Anche sulla terra rispondevo così, dopo avere superato quella fase di onnipotenza in cui la mia risposta era (testuale), il premio Nobel, ma prima di scontrarmi con l’inamovibile decisione di mio padre (il liceo linguistico no, classico o classico) e, poi, con l’adolescenza.
Ho iniziato a tradurre all’età in cui Persis Tatterdemalion, la mia persona preferita di tutta Desolation Road, guardava fuori dalla finestra, dietro al bancone del suo bar, e sospirava: sono troppo vecchia. Lo pensavo anch’io, e però è successo – in quei modi che non si possono raccontare ma che chi traduce conosce bene.
Una cosa che non sapevo né a nove anni né a qualcuno di più era che tradurre, molto spesso, non è mica poi così bello. Perché i libri che ti capitano in mano sono brutti, sono libri che non leggeresti mai, sono libri che parlano di cose che non ti interessano.
Desolation Road non lo so mica, se l’avrei letto, non fosse stato per Giorgio. Leggo altre cose, e a una certa età si diventa pigri, mi sembra, e si ha meno voglia di leggere cose nuove, generi nuovi, e però di Giorgio mi fido, ci consigliamo libri da anni e non ci siamo mai delusi.
Di Desolation Road mi sono innamorata subito. E poi mi sono innamorata ancora, quando ho ripreso in mano il libro e l’ho riscritto, cercando di prestargli la mia voce e di scoprire quale fosse la sua. Non è stato un amore facile: Ian McDonald non ha solo creato un mondo popolato da una grande quantità di personaggi, ma ha una lingua tutta sua senza la quale quei personaggi non sarebbero vivi come sono, senza la quale non mi avrebbero parlato.
Abbiamo passato insieme Natale e Capodanno, abbiamo passato insieme mattine, pomeriggi, notti. Mi hanno fatta ridere e mi hanno fatta piangere, e quando sono arrivata all’ultima pagina, quando ho scritto l’ultima parola e quando poi l’ho riletta per l’ultima volta, per giorni mi sono sentita… Strana. Come quando finisce una storia d’amore, appunto, e si è tristi e si ripensa al passato e ci si sente vuoti e però si inizia anche a pensare a quello che succederà dopo.
Dopo è adesso, che vedo una cosa di carta con sopra scritto il mio nome e penso, incredibile.
Dopo è adesso, che se lo rileggo sento la mia fatica e ricordo, ma poi mi dimentico di me e mi innamoro di nuovo.
Dopo è sperare che ci siano tanti Giorgio e tante Chiara che si consigliano di leggere proprio questo libro qui, che parla di Marte ma per finta, perché in realtà parla di noi, di quanto facciamo fatica a liberarci del passato, di quanto sia difficile trovare la propria strada, di amicizia, di vendetta, di vita e di morte – di destino e di autodeterminazione.
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