Quel debole raggio di fantasia. Jacopo Berti presenta Ad Astra.

Questa settimana rendiamo finalmente disponibile ai lettori Ad Astra, che inaugura la nostra nuova collana Altre meraviglie.
Se abbiamo deciso di riproporre a distanza di oltre un secolo il romanzo di Antonio de’Bersa lo si deve al prezioso lavoro di Jacopo Berti, che ha scoperto una delle pochissime copie originali esistenti del libro nella biblioteca di Trieste, e ce ne ha proposto una riedizione.
Per comprendere meglio quali siano le peculiarità del romanzo vi presentiamo qui di seguito la prefazione che Jacopo Berti ha scritto per presentare Ad Astra ai lettori.

Ad Astra, di Antonio de' Bersa

Si può dire che, per certi versi, la storia in questo volume e quella di questo volume si somiglino. Entrambe nascono dal ritrovamento, nella Biblioteca Civica di Trieste, di uno scritto risalente agli anni Ottanta del diciannovesimo secolo.

Le vicende narrate in Ad astra. Fantasia dell’avvenire, prendono le mosse da una ricerca scientifica del 1883, Sulla possibilità di navigare gli spazii celesti: Studio basato sopra la scoperta dell’oscillante, un mezzo fisico per volare nel vacuo, ricerca pubblicata da Francesco De Grisogono, stampata dalla tipografia del Lloyd austro-ungarico e accolta, dai più, con scarso entusiasmo.
L’Autore del presente romanzo, Antonio de’ Bersa (alias Antonio Bersa de’ Leidenthal), classe 1827, fu direttore del quotidiano L’Osservatore Triestino dal 1876 fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta l’8 agosto 1905. Baluardo giornalistico della casa d’Austria sull’Adriatico, organo di informazione economica, commerciale e politica, L’Osservatore Triestino si occupava di fatti di costume e di cronaca, ma anche degli ultimi ritrovati della scienza e della tecnologia, dandone l’annuncio a volte come spigolatura, in altri casi come lieto pronostico di un avvenire radioso, luce riflessa dell’entusiasmo positivistico giunto al suo culmine in quei decenni.

adastra-1898Il direttore, dalmata di lingua italiana, era giornalista, scrittore, avvocato e presidente del collegio dei periti riguardo ai diritti d’autore in letteratura, nonché studioso dilettante di scienze matematiche e fisiche. Per questo non c’è da stupirsi se, in seguito alle critiche e canzonature subite dal Grisogono, decise di difendere il suo studio in primo luogo sulle colonne dell’Osservatore Triestino, argomentando in favore dell’oscillante e invitando la cittadinanza al dibattito. Forse si stupirono, invece, i suoi contemporanei quando, nel 1884, de’ Bersa diede alle stampe un’opera finzionale “alla maniera di Verne” in cui il detto studio, riscoperto quasi duemila anni dopo, veniva divulgato e messo in pratica a vantaggio di tutto l’umano consorzio.

L’opera s’intitolava Giustina Cartoni: Fantasia dell’avvenire, e vedeva la luce a Trieste per i tipi di Schubart editore. Di questa prima versione del romanzo, così come dello studio del Grisogono, conserva una copia – o meglio, l’unica copia rintracciabile in rete sul catalogo nazionale – soltanto la Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste.

adastra-1903Dell’edizione successiva e della sua ristampa, pubblicate dall’editore milanese L. F. Cogliati rispettivamente nel 1898 e nel 1903, risultano una decina di esemplari conservati in varie biblioteche italiane. Queste edizioni s’intitolano Ad Astra: Fantasia dell’avvenire e Idillio lunare: Fantasia dell’avvenire e, salvo per il titolo e la copertina (la prima ne riporta solo l’intestazione, la seconda è dominata da un’illustrazione del nostro satellite che appare tra le nuvole e si riflette in un mare increspato), le due versioni sono identiche.
Differiscono abbastanza, invece, dalla versione del 1884, rispetto alla quale l’autore ha operato dei tagli, nell’intento di eliminare gli elementi più campanilistici, dando alla nuova edizione un respiro più ampio. I riferimenti più puntuali alla città di Trieste e al suo territorio sono stati limitati, e con essi sono state espunte, forse per un’esigenza di continuità narrativa, alcune digressioni scientifiche. La scelta di riproporre il testo dato alle stampe nel 1898 non è stata facile, ma alla fine si è privilegiata la versione, rielaborata anche in alcune scelte linguistiche, che il de’ Bersa aveva licenziato per un pubblico più ampio rispetto ai soli suoi concittadini. Di alcuni brani presenti nella prima edizione si darà conto nell’appendice alla fine del testo, dopo le due note originali nelle quali l’autore riferisce degli studi del Grisogono.
Dell’edizione di fine secolo si è preferito anche il titolo, Ad Astra, che, rispetto al più sentimentale Idillio lunare e al più semplice Giustina Cartoni – riportante il nome della protagonista – dà maggior risalto alla componente fantascientifica.
Perché quello di de’ Bersa è un autentico romanzo di fantascienza.

Se per “protofantascienza” s’intende la fantascienza ante litteram, allora è corretto definire così il presente romanzo, ma se il termine serve ad evidenziare l’immaturità di un genere letterario a una data altezza cronologica, tale definizione pare ingenerosa, perché l’opera di de’ Bersa presenta svariati elementi della migliore fantascienza tout court, che non è semplice trovare, tantomeno tutti insieme, nella classica scienza avventurosa, nel meraviglioso scientifico degli emuli di Verne e forse in Verne stesso, nelle allegorie utopiche dei viaggi su altri mondi o nelle tipiche “edisonate”, racconti in cui giovani americani risolvono situazioni difficili o conflittuali facendo ricorso alle loro invenzioni e al loro ingegno.

adastra-foto-oscillanteUn primo segnale di autentica fantascienza è la presenza di elementi di recentissima attualità scientifica e tecnologica. Per alcune scienze (meteorologia, chimica, meccanica, scienze naturali) viene ipotizzato e descritto un importante progresso teorico e pratico, tendente a quella conoscenza completa del mondo che il positivismo immaginava conseguibile in tempi brevi.
Quanto alle tecnologie, oltre agli oscillanti del Grisogono, letteralmente motore della narrazione, si riscontra la presenza di dispositivi per la sopravvivenza lunare simili per molti aspetti a quelli per i viaggi sottomarini.
Si consideri poi il fotofono, strumento in grado di convertire suoni in segnali luminosi e viceversa, realizzato da Bell nel 1880 e utilizzato dai protagonisti di de’ Bersa per comunicare tra la Terra e il suo satellite.
Si pensi infine – ma la lista sarebbe ancora lunga – alla teletipia e alla fulmitipia colorata, altrettante estrapolazioni di tecnologie contemporanee all’autore che in quegli anni si perfezionavano e si diffondevano, e di cui L’Osservatore Triestino non mancava di parlare, evidenziandone i vantaggi economici e sociali.

Il quotidiano diretto da de’ Bersa, riferiva anche di strumenti culturali e sociali per semplificare e velocizzare la comunicazione: ed ecco apparire nel romanzo la “lingua universale”, divulgata ad uso di un’umanità pacificata sotto l’egida degli Stati Uniti Terrestri e di una Corte internazionale degli arbitri. Se si va con la mente ai romanzi di Verne – mi riferisco a Dalla Terra alla Luna – in cui gli Stati, fortemente indipendenti, competono per elargire o non elargire finanziamenti per l’impresa spaziale, si osserverà che l’idea di de’ Bersa è ben differente. Forse è la pluralità linguistica e culturale mitteleuropea che suggerisce all’autore l’esito politico di una Terra unificata. Attraverso quali processi e a partire dall’iniziativa di quali Stati in particolare, non è dato sapere esplicitamente. Tuttavia, in un’immagine che è il futuro del futuro, viene auspicata l’espansione dell’umanità nel sistema solare e nell’universo “colla sovrana libertà dell’aquila”. Ciascuno ipotizzi, a sua discrezione, il numero di teste di tale volatile.
Ma l’avvenire dell’umanità riserva anche degli inconvenienti, primo tra tutti la sovrappopolazione. Pacifica e sazia, la nostra specie rischia di esaurire lo spazio a disposizione, ed è da qui che nasce l’urgenza di colonizzare gli astri. Se in Verne è il bellicoso Gun Club a perseguire l’allunaggio, in Ad Astra, l’impresa spaziale si presenta come la sola alternativa alla guerra, al controllo delle nascite, ad altre soluzioni non desiderabili. Ma, di necessità virtù, sull’oscillante Tellus viene previsto un posto a pagamento, ed ecco che per qualcuno l’impresa lunare diventa un’opportunità da cogliere a qualsiasi costo. Così, sebbene in modo leggero e macchiettistico, viene introdotto un argomento che riguarda la nostra contemporaneità: il ruolo, nell’esplorazione spaziale, dell’iniziativa privata.

adastra-cop-900x1275Oltre all’estrapolazione scientifica e sociologica, c’è un’altra caratteristica della fantascienza che de’ Bersa fa sua: il citazionismo, inteso sia in senso stretto, sia nel senso più ampio di consapevolezza di inserirsi in un genere che ha dei fondatori e un immaginario ben definiti. Quanto ai fondatori, in Ad Astra è citato esplicitamente Edgar Allan Poe, nella sua veste genericamente fantastica. Quanto all’immaginario, se l’ispirazione verniana è evidente in tutto il romanzo, nella versione dell’84 il nome di uno dei protagonisti è addirittura Barbicane, discendente del Barbicane che tentò il viaggio selenitico col cannone, i pellegrinaggi al quale, nel secolo trentesimonono, “non fruttavano più nemmeno la spesa per la manutenzione di esso e del colonnato a cupola dorata che lo copriva”.

Genere fantascientifico, sì, anche in alcuni dettagli del lessico e dello stile. Non mancano, come si è visto, i neologismi coniati per nominare le tecnologie future; non mancano neanche termini tecnici della meccanica e dell’astronomia, che all’epoca probabilmente erano a disposizione di pochi. E poi le similitudini, che attingono all’immaginario scientifico – memorabili quelle di ambito elettrico e magnetico – per descrivere i moti dell’animo di individui e gruppi.
Per molti aspetti, ovviamente, de’ Bersa rimane un narratore ottocentesco. Quanto a stile, accompagna per mano il lettore lungo la narrazione, rivolgendosi a lui direttamente, richiamando o sviando la sua attenzione; lo conduce – e questa prefazione serva da acclimatamento – attraverso periodi lunghissimi e complessi, con una punteggiatura a volte ridondante che, in questa sede, a volte è stato necessario sfoltire.
Quanto a contenuti, non c’è da stupirsi se l’autore parte dai pregiudizi (razziali, culturali, di genere) di un uomo del suo tempo. Parte soltanto, però: il più delle volte per metterli in discussione. Ciascuno si faccia la sua opinione; la mia è che vada più apprezzato per ciò che è riuscito a superare o almeno a problematizzare che criticato per ciò che ha conservato.
Tipici di un uomo di lettere d’altri tempi sono anche la consegna dell’opera ai lettori e il congedo dal suo personaggio, segnati da una retorica che traspare diverse volte nel romanzo e che siamo disposti a perdonare perché sentiamo che attinge a disposizioni d’animo autentiche. “Ma tu – scrive, rivolgendosi alla sua protagonista – ti dilegui nelle vaghe penombre della stanza e mi par che te ne porti teco la parte migliore di me: quel debole raggio di fantasia, che mi scaldava il cuore e mi illuminava la mente. Più non mi resta di te che questo povero volume nel quale io, forse unico lettore, verrò suscitando il ricordo delle ore di delizia, che venivi a darmi ogni notte, come un’amante adorata e lungamente desiderata”.

Se non unico lettore, congedandomi io stesso da questa storia e dai suoi personaggi, mi sono sentito parte di una cerchia ristretta e privilegiata. Ho avvertito l’esigenza di dare nuovo impulso a questo raggio di fantasia, ho proposto la scommessa – e l’editore l’ha accettata – che tale raggio possa entrare oggi in un mezzo diverso; che in un’epoca di steampunk, e di mille altri generi della fantascienza che cercano ancora una definizione, possa procedere ancora più veloce.

Jacopo Berti
Trieste, marzo 2017

 

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