Nicola Parisi intervista Karl Schroeder

Pubblichiamo anche sul nostro sito questa notevole intervista che Nicola Parisi ha realizzato con Karl Schroeder.

Ringraziamo Nicola per averci concesso la possibilità di approfondire la conoscenza con l’autore canadese.
Vi ricordiamo che questo pezzo è comparso in origine su Nocturnia.

Buona lettura!

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Nick:  Benvenuto su Nocturnia e grazie per aver accettato di rispondere a questa  intervista. Per cominciare ti chiedo di parlarci degli inizi della tua  carriera, in particolare m ‘interesserebbe sapere cosa ti ha avvicinato alla fantascienza?

Karl Schroeder:  Quando ero ragazzo,  nella nostra casa  c’era uno scaffale con tre ripiani, nei ripiani erano presenti principalmente opere di tre scrittrici ben definite : Georgette Heyer, la scrittrice di romanzi storici; Agatha Christie, la scrittrice di gialli; e Andre Norton, la scrittrice americana di fantascienza. Ognuna di loro in quel momento aveva decine di libri pubblicati. Forse ho iniziato a leggere i libri di Andre Norton perché erano sul ripiano più basso, ma per qualche motivo mi sono appassionato alla  SF in tenera età.

Mia madre aveva scritto e pubblicato due romanzi con  la Zondervan Books*, così  anche quelli erano sullo scaffale pure.Mi  sembrava, quindi, una scelta naturale di carriera  diventare uno scrittore. Ho cominciato a lavorare sul mio primo romanzo quando avevo 14 anni, e l’ho concluso quando ne avevo 17. Da allora ho sempre scritto.

 

Nick: Quali sono stati gli scrittori che ti hanno formato come lettore prima  ancora che come scrittore? (Naturalmente puoi citare anche film, telefilm, comics e quant’altro ti venga in mente).

Karl Schroeder: Le mie più grandi influenze non provenivano da scrittori americani di fantascienza o da spettacoli televisivi, ma una manciata di scrittori britannici ed europei. Wells ha avuto una grande influenza, ma è stato Stanislaw Lem che ha avuto il maggior effetto su di me. Già nel 1950 Lem scriveva di nanotecnologia!

 

Nick: A questa domanda probabilmente ti sai stancato di rispondere, quindi mi scuso in anticipo: Tu provieni da una comunità Mennonita (del Manitoba, giusto?) e i Mennoniti, per quello che ne sappiamo noi in Europa non sono normalmente associati con la tecnologia e anche, tu poi hai anche un background come fisico. In che modo le tue origini culturali influenzano la tua scrittura?

KS: Giusto per effettuare una piccola correzione : io non sono un fisico. C’era un testo sbagliato in tal senso nella biografia nel mio primo romanzo, ma non è vero. Ho un Master in Innovazione e Previdenza Strategica, il che mi ha reso un futurista professionista, ma io non sono uno scienziato.

La comunità Mennonita  da cui provengo è abbastanza moderna, ed è completamente assimilata nella società canadese. Sono cresciuto in una città di media grandezza e sono andato a una comune scuola pubblica. Così la mia formazione e le mie esperienze sono più o meno le stesse di qualsiasi altro canadese. Una cosa da ricordare, c’è però: il famoso scrittore di fantascienza della “Golden Age” A.E. Van Vogt in realtà proveniva dalla mia stessa comunità. Mia madre si ricorda la famiglia Vogt da quando era bambina. Quindi, qualcosa nel sud Manitoba sembra aver influenzato almeno due scrittori di SF Mennonita, finora.

 

IlSoleDeiSoli Cop 663x900Nick:  Nel 2000 pubblichi Ventus il tuo primo romanzo da solista, Ventus è un romanzo che parla di viaggi interstellari, di terraforming e di nanotecnologie, quindi ha un forte background fantascientifico, ma contemporaneamente dentro i vari capitoli utilizzi molti stilemi ed elementi del fantasy  Da cosa è nata  questa commistione di temi? E sopratutto è stata una scelta voluta o casuale questo mescolamento di generi?

KS: Ho volutamente inserito in Ventus una mescolanza di generi. Il libro è stato progettato per sembrare un high fantasy in un primo momento (come se fosse un romanzo di Tolkien o  Game of Thrones), ma subisce una lenta mutazione per come la trama si sviluppa, finché termina come una storia di  hard science fiction in piena regola. Ho fatto questo genere di cose diverse volte, in particolare con i libri  del ciclo di Virga, Il Sole dei soli e i suoi sequel che hanno un tono da XIX secolo  e, stilisticamente fanno parte della tradizione Steampunk, ma sono ambientati tra mille anni nel futuro e, non si svolgono nemmeno su un pianeta. Mi piace giocare con generi e stili, e creare combinazioni inaspettate. Il mio ultimo romanzo, Lockstep, è stato commercializzato come un romanzo di hard science fiction adulta, ma ha un protagonista di 17 anni ed è molto di più di una storia young-adult.

 

Nick:  Sempre in Ventus, ma anche nel suo prequel Lady of Mazes (2005) sono presenti diversi temi filosofici. Come concili la pura descrizione tecnologica e scientifica con la filosofia (in particolare col tema del realismo speculativo?)

KS:  Io immagino la tecnologia come una sorta di filosofia sperimentale. In questi romanzi, ho predisposto tecnologie progettate che hanno incarnato certi problemi filosofici. Ad esempio, in Ventus, mi sono soffermato sulle idee che la scuola del realismo speculativo, e  in particolare Quentin Meillassoux, ora chiamano “correlationism” e “ancestrality.” Certo, il modo in cui queste idee si incarnano è tutt’altro che astratto. Ad esempio, in Ventus ho descritto una nave stellare dotata di intelligenza artificiale chiamata The Desert Voice che si libera di tutti i suoi sistemi meccanici per travestirsi come un essere umano; ma il  passaggio per la  natura umana si rivela difficile, e deve rendere i suoi livelli di immedesimazione mano a mano sempre più profondi. Comincia quindi a simulare emozioni e lacrime, e finisce per dover renderle  sempre più genuine, finché alla fine le sue emozioni sono reali e che l’hanno resa, in tutto e per tutto umana.

 

Schroeder-Ventus ANick: Mi sembra di aver letto che Ventus sia stato il frutto di un tuo periodo di crisi e che all’inizio pensavi che non sarebbe mai stato pubblicato, è vera  questa cosa?

KS: Prima di scrivere Ventus, avevo tentato più volte di scrivere romanzi che pensavo potessero interessare il mercato. Purtroppo ne rimasi frustrato perché nessun editore volle pubblicarli. L’intera esperienza mi ha costretto, in primo luogo, a rivalutare il motivo per cui stavo scrivendo e ho deciso che l’unico buon motivo era per il mio proprio piacere; così, ho deciso di scrivere il romanzo che volevo leggere. Ero abbastanza sicuro che nessuno altro avrebbe mai avuto a cuore le idee contenute o che potesse mai essere interessato a leggerlo. Ma dopo aver lavorato sul mio romanzo per un paio di anni  ne ho parlato a David Hartwell  l’editor della Tor Books mentre eravamo alla festa di un editore in cui stavo bazzicando alcuni scrittori già affermati. Lui ha dimostrato un immediato interesse e mi ha incoraggiato a finirlo. Quando gliel’ho inviato lui lo ha comprato senza esitazione. Quindi c’è una lezione in tutta questa storia che ho appreso troppo dolorosamente per dimenticarla: di scrivere quello che può interessare a te non quello che credi possa interessare al Mercato.

 

Nick: Nel 2002 arriva un altro romanzo importante: Permanence.
In Permanence affronti il tema della tecnologia e dell’evoluzione sotto un altra forma: cioè che lo sviluppo tecnologico di una specie non ne garantisce per forza la sopravvivenza. Ci spieghi meglio questo concetto?

Schroeder-PermanenceKS: In Permanence  l’ umanità scopre di essere essenzialmente sola nell’universo, perché ogni altra specie che abbia raggiunto le stelle in seguito poi è regredita verso forme meno evolute. Ho avuto una piccola discussione con l’astrofisico Milan Cirkovic riguardo a questa idea. Fondamentalmente, considero l’intelligenza dell’essere, per un dato organismo, un tratto distintivo come qualsiasi altro tratto. È come avere denti aguzzi o pelo lungo. Per un animale, in un dato ambiente, potrebbe trasformarsi in un vantaggio evolutivo. Per un altro in una circostanza diversa, potrebbe non esserlo. La cosa principale è che un intelligenza  come la nostra che permette la fabbricazione di macchine utensili è un bene perché ci ha fatto passare da una nicchia ecologica all’ altra. La razza umana si è potuta diffondere sulla Terra, perché noi usiamo la tecnologia per permetterci di vivere ovunque. Quindi la tecnologia e l’intelligenza che ne consegue, sono buone per le specie che si trovano in movimento. Una volta che una specie si è stabilita comodamente in una regione e trascorso qualche tempo (cioè, centinaia di migliaia a milioni di anni) si adatterà all’ambiente e non avrà più bisogno tecnologie o dell’intelligenza che ne consegue. Anche se Cirkovic ha sottolineato che una strategia deliberata di mantenere se stessa ‘fuori equilibrio’ o leggermente disadattata potrebbe aiutare una specie a mantenere la sua intelligenza nel lungo periodo (più o meno la soluzione che ho scelto in Permanence), nessuno ha mai smentito questa idea convincente.

 

Nick:  Possiamo dire anche che Permanence, sia la tua personale risposta al Paradosso di Fermi riguardo al  perché finora non abbiamo incontrato specie aliene?

KS: Se il destino ultimo dell’intelligenza è quello di affievolirsi dopo aver portato a termine il suo scopo, allora si, questo spiegherebbe il  perché noi sembriamo essere da soli. Noi sembriamo essere da soli perché quel tratto che noi apprezziamo così estremamente ha un periodo limitato di utilità per una specie.

 

Nick: Sei stato uno dei fondatori della SF Canada, the Canadian national science fiction and fantasy writers association nel 1989, e nei sei stato anche presidente.
Vorresti parlare di questa associazione e della tua esperienza con essa ai lettori di Nocturnia ?

KS: Non sono stato il fondatore di SF Canada;  l’onore ricade su un certo numero di altre persone, in particolare Candas Jane Dorsey, autrice dell’eccellente romanzo Black Wine. La creazione di SF Canada è stato un momento importante per la fantascienza canadese, perché è stata la prima volta che scrittori diversi e lontani, sparsi un pò in tutto il continente, sono stati in grado di riunirsi e  di stabilire una identità collettiva. Vivere accanto a una potenza culturale ed economica come gli Stati Uniti rende il mantenere la propria identità e  i propri valori molto difficile. Quando tutte le TV, le radio, i tuoi libri e riviste, provengono da oltre confine, è quello che fai tu che ti definisce come unicamente canadese. Siamo stati in grado di scoprire che in effetti veramente potevamo avere punti di vista distinti e diversi, e che la fantascienza canadese poteva dare dei contributi alla letteratura che non potevano essere duplicati dagli autori americani.

 

Schroeder-LadyOfMazesNick: Questa domanda l’ho rivolta anche a Robert J. Sawyer quando l’ho  intervistato tempo fa: secondo te la speculative fiction canadese presenta delle differenze rispetto a quella americana? E se si quali?

KS: La fantascienza canadese esibisce generalmente un  rapporto diverso con l’ambiente o, più esattamente, col mondo fisico. La natura è meno una forza da conquistare, come viene spesso raffigurata nella fantascienza Americana e più un potenziale alleato o un nemico con il quale negoziare. Questo punto di vista viene direttamente dall’esperienza canadese del mondo naturale. Mentre scrivo queste righe, la costa est del paese si sta riprendendo da un da una bufera di neve notturna -è il 26 marzo- che ha scaricato 50 centimetri di neve e poi l’ha soffiata in giro con venti di 186 km l’ora.  Una Natura del genere non è da conquistare; e in una serie di storie recenti (e in Ventus)  descrivo situazioni in cui dei sistemi naturali ma tecnologicamente evoluti si “svegliano” e diventa necessario negoziare con loro come attori politici a pieno titolo.

 

Nick: In Italia hanno recentemente tradotto un paio di tuoi racconti con protagonista il contractor Gennady (Dalla lontana Cilenia; Il fantasma di Laika). Gennady è un gran bel personaggio e ha colpito molto i lettori italiani.
Scriverai ancora su di lui, magari avrà finalmente anche qualche relazione?

KS: Io amo Gennady. È il netturbino di tutti gli ingenui esperimenti sociali ed ecologici del XX secolo, e lo fa con gli occhi spalancati. Lui è il ragazzo che pulisce dopo Chernobyl. Ciò che me lo rende amabile, però, è che questo ruolo non lo ha reso cinico, né reso contro la tecnologia. Ci sgobba appena su, ripara i disordini e spera per il meglio. E, naturalmente, la sua timidezza di base nei confronti della gente è parte di ciò che lo fa viaggiare nei luoghi vuoti e perduti del mondo posti, dove nessun altro andrebbe mai. Chi altra avrebbe accettato un lavoro di  trasporto di cammelli dell’Asia centrale  diventati radioattivi dopo il pascolo in un vecchio sito di test nucleari?

Dal momento che lui è esattamente l’opposto della spia audace, mi auguro che trovi una relazione. Sto ancora cercando di capire che tipo di donna sarebbe adatta per lui.

 

Nick: Hai inventato il concetto del “Thalience“, ti andrebbe di spiegarcelo?

KSThalience è un nome che ho dato ad un particolare enigma nato dalla ricerca di un intelligenza artificiale (AI). La domanda è, una IA in grado semplicemente di ereditare tutte le nostre categorie umane per comprendere il mondo (su, giù, dentro, fuori, umano, macchina), o sarebbe in grado – o avrebbe il potere – di inventare la propria? Se così fosse, avverrebbe quello che io chiamo “thalient“, che è il contrario di intelligente, perché non potremmo nemmeno riconoscere un AI thaliente come avente l’intelligenza. Sarebbe semplicemente troppo un qualcosa di troppo alieno. In Ventus, è esattamente quello che avviene con questa divergenza di comprensione di base, con risultati tragici per gli esseri umani coinvolti.

 

Schroeder-QueenOfCandesceNick: Tra i tuoi romanzi qual è quello che preferisci, quello che ti ha dato più soddisfazioni e quello che invece oggi non riscriveresti o magari scriveresti in maniera diversa?

KS: Non mi piace di individuare preferiti, è un male per il lavoro. Non posso dirti quale mi sia piaciuto di più, o anche quelli che sono “migliori” di altri. Alcuni libri sono stati molto divertenti da scrivere, e un paio di loro sono state esperienze di trasformazione per me. Mi ci sono voluti sette anni per scrivere Ventus; io stavo essenzialmente trasformandomi in uno scrittore, dal momento che dovevo essere io a raccontare la storia che volevo raccontare, e così quel libro ha rappresentato un grande cambiamento per me. Lo stesso vale per Lady of Mazes, perché era la prima volta che ho volutamente utilizzato più linee narrative – come se fossero più tracce stratificate in una registrazione audio, il che consentirebbe al lettore di leggere e rileggere la stessa storia e ottenere qualcosa nuovo da essa ogni volta. Rigorosamente in termini di divertimento, però, credo di essermi divertito maggiormente con Queen of Candesce e The Sunless Countries . Entrambi fanno parte della serie Virga, hanno rappresentato semplicemente una gioia da scrivere, senza attrito, dubbi o esitazioni nel processo.

 

Nick: Tra i tuoi colleghi quali segui con maggiore attenzione ed interesse?

KS: Non ho preferenze particolari riguardo alla generazione attuale, anche se devo dire che in inglese, China Mieville sta facendo alcuni dei lavori più interessanti. Anche se sono stato associato alla “hard” science fiction, ho anche poco interesse riguardo a quegli scrittori che scrivono una fantascienza rigorosamente basata sulla scienza. Ci sono stati diversi scrittori di fantascienza del secolo scorso, tuttavia, che hanno rotto con la mentalità del genere, con l’esteso dominio americano e britannico del medesimo, e utilizzato la fantascienza come strumento esplorativo. Come ho detto prima, Stanislaw Lem ha avuto il maggior impatto su di me; non è importante quanto attuale sia, ma che sapesse come porre le domande giuste attraverso i suoi racconti.

 

Schroeder-LockstepNick: Progetti futuri: di cosa ti stai occupando adesso e cosa dobbiamo aspettarci da Karl Schroeder nel prossimo futuro?

KS: Ho un certo numero di progetti in corso contemporaneamente, ed è la prima volta che questo mi accada. Io di solito scrivo un romanzo alla volta, ma attualmente ne sto progettando tre. Uno è legato a Lockstep, che è stato appena pubblicato da noi in inglese (il 25 marzo). Un’altra potrebbe completare il tema iniziato con Ventus e poi sviluppato in Lady of Mazes. Il terzo è un brano realizzato su commissione di cui non posso parlare. Ho una nuova storia che esce all’interno del progetto Hieroglyph di Neal Stephenson, e qualche altro lavoro che uscirà in antologia. Così, sono impegnato, e abbastanza felice.

 

Nick: Bene, è tutto. Ti ringrazio ancora e nel salutarti ti rivolgo la classica domanda finale di Nocturnia: c’è qualche domanda a cui avresti risposto volentieri e che io invece non ti ho rivolto?

KS: Normalmente io mi ritrovo con delle cose in più da dire al termine di un colloquio, ma non credo che avvenga anche questa volta. Naturalmente, più tardi (probabilmente proprio appena quest’intervista sarà pubblicata) mi renderò conto che c’era qualcosa di importante che ho dimenticato di citare, e poi io mi schiaffeggerò sulla fronte e dirò: “D’oh!” Come fanno in America. Ma non adesso.

Grazie mille per il tuo interesse nei confronti del mio lavoro e per le tue domande gentili!

* Casa editrice specializzata in temi cristiani.

Pubblicato in Il Sole dei soli.