Chiara Puntil ha esordito nel mondo della traduzione letteraria con L’involo, una fiaba di Natalia Theodoridou, e qui in Zona siamo rimasti talmente soddisfatti del suo lavoro che le abbiamo immediatamente affidato la traduzione Alien Virus Love Disaster da realizzare in collaborazione con Chiara Reali.
Oggi Chiara Puntil ha voluto condividere sulle sue pagine social una breve riflessione sulla lettura e la traduzione di Alien Virus Love Disaster e noi ve la proponiamo molto volentieri qui di seguito.
Buona lettura!
La prima cosa di Abbey Mei Otis che abbia letto è stato un racconto intitolato Alien Virus Love Disaster, e io ero su un aereo ed erano gli ultimi giorni di dicembre. Stavo mettendo insieme parole per uno scritto su portali, momenti di passaggio, spazi liminali; e nella mia testa, il concetto di limbo, e quel trovarsi al contempo ovunque e da nessuna parte che deriva dall’essere in volo, sono immagini perfette per raccontare questo libro.
Nel suo simultaneo essere e non essere il mondo che conosciamo, l’universo che Otis crea ha un che del gatto di Schrödinger. È un posto marginale, una landa desolata, popolata da sopravvissuti, “salvatori di cose minuscole, ricostruttori di mondi”. È un universo subalterno, uno di cui forse abbiamo iniziato a registrare l’esistenza soltanto nel corso dell’ultimo anno, quando le centinaia di migliaia di elettori dimenticati e disenfranchised sono improvvisamente diventati un argomento di conversazione, la chiave per arrivare alla Casa Bianca, o rimanerci (a questo proposito, che la notizia dell’effettiva vittoria di Joe Biden sia arrivata proprio mentre parlavamo del libro per la prima volta, durante una presentazione, è ovviamente solo una coincidenza, ma una coincidenza bella e significativa).
Se i subalterni, per definizione, non possono parlare, e se chi parla per loro ne distorce inevitabilmente le parole, descrivere Otis come loro messaggera pare una contraddizione in termini; eppure, la sua è una voce empatica e veritiera, che non tradisce né si sovrappone mai a quelle dei suoi personaggi.
Dopo aver consegnato tutte le bozze, e ora che mi preparo a condividere questo libro con il resto del mondo, sono stata assalita da una strana nostalgia. So che quei personaggi, quelle storie, mi mancheranno, la famiglia Ferdinand e la maestra depressa, l’agente immobiliare disperato e la ragazza nel sacco di latex. Non so se mi sia concesso fare favoritismi, ma un pezzo del mio cuore di immigrata e perenne outsider non può che volere molto bene a Colleen e a tutti gli altri lunatici.
(I miei ringraziamenti vanno, come sempre, a Zona 42 e a Chiara Reali, per aver tradotto quel primo racconto insieme a Dafne Calgaro, e per l’offerta che non ho potuto rifiutare.)
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