La prima edizione di Desolation Road è uscita esattamente cinque anni ed è ormai esaurita. Fortunatamente per il lettori da qualche mese è disponibile una nuova edizione economica del volume.
Ma nonostante sia passato ormai un po’ di tempo dall’uscita in Italia del meraviglioso romanzo d’esordio di Ian McDonald, Desolation Road conquista sempre nuovi lettori che non smettono di rimanerne affascinati.
Per citare l’ultima in ordine di tempo, oggi vi proponiamo la recensione di Valentina Leoni, pubblicato sulla pagina web del gruppo facebook Un libro tira l’altro.
Desolation Road è un villaggio isolato, sperduto nel deserto di Marte, fondato da un viaggiatore all’inseguimento di un misterioso essere dalla pelle verde.
Ogni tanto un treno si ferma nella sua stazione e chi scende a Desolation Road resta per sempre, andando a costituire una comunità che ricorda quelle dei pionieri del far west, con le loro piccole attività e il saloon dove incontrarsi.
Il tempo passa, la cittadina cresce e l’isolamento finisce, perché le grandi corporazioni che regolano la colonizzazione di Marte si interessano alle ricchezze del suo sottosuolo e cercano di inglobarla in un sistema spersonalizzante di feudalesimo industriale: ecco che il libro qui registra un primo cambio di ritmo, la trama assume portata più ampia, introducendo tematiche sociali e religiose, abbandonando parzialmente la struttura episodica per un intreccio di denso e serrato, mentre il tono del racconto si fa meno fiabesco, più teso, fino a tornare più lento nel finale.
Romanzo di fantascienza davvero particolare, pubblicato in inglese nel 1988 ma solo da poco giunto sui nostri scaffali, Desolation Road coniuga l’ispirazione lirica e l’impostazione corale del marqueziano Cent’anni di Solitudine – col quale condivide anche alcuni punti della trama – allo stile “ingenuo” e fiabesco del Bradbury di Cronache Marziane: il villaggio del titolo risulta così un luogo dell’anima, simbolo della condizione umana e della sua lunga storia, mentre i personaggi risultano figure archetipe, mai stereotipi, che entrano ed escono dalla scena senza scosse di pathos: la prosa dell’autore, ben resa nella traduzione italiana, è ricca e forbita ma mai pesante e garantisce la scorrevolezza della lettura, anche se qualche punto meno fluido si incontra.
Consigliato ai lettori che della fantascienza amino la componente più prettamente fantastica e quindi non si scandalizzino per la presenza di elementi, in effetti, scientificamente poco plausibili ma si abbandonino all’aspetto affascinante del racconto e dell’ambientazione. Inoltre, credo che questo libro possa piacere agli estimatori del genere del realismo magico, di Marquez in particolare, perché costituisce un’originale rivisitazione del genere.
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