Vi presentiamo il profilo di Ian McDonald che Sandro Pergameno ha realizzato per la nostra edizione di Desolation Road.
Considerato ormai uno dei migliori scrittori di fantascienza viventi, e appartenente alla nutrita pattuglia britannica che oggi è davvero leader nel genere e comprende autori come Alastair Reynolds, Paul McAuley, Ian R. Mcleod, Ken MacLeod, e lo scomparso Iain Banks, Ian McDonald è nato nel 1960 a Manchester, in Inghilterra, ma si è trasferito da piccolo con la famiglia a Belfast, nell’Irlanda del Nord, dove oggi risiede.
Ian McDonald inizia a pubblicare fantascienza con The Islands of the Dead, uscito sulla rivista Extro nel 1982. Questo racconto, insieme ad altri raccolti in Empire Dreams, del 1988, e ai suoi primi romanzi, sempre di quell’epoca, dimostrarono subito la sua passione per ambientazioni complesse e raffinate e per una ricerca narrativa molto elaborata dal punto di vista stilistico e di costruzione della vicenda.
Il suo primo romanzo, l’ottimo Desolation Road, apparso negli USA nel 1988, è stato definito come un incrocio tra le Cronache Marziane di Ray Bradbury e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Più che scrivere ‘pastiches’ di autori classici, si può dire che McDonald mostri la loro influenza in un’intelligente appropriazione di certe angolazioni narrative: tali appropriazioni sono necessarie per far risaltare in maniera fortemente emotiva le implicazioni psicologiche delle trasformazioni ambientali causate dal processo di ‘terraforming’ di Marte, o della trasposizione in cyborg del fisico umano.
Desolation Road è la storia epica e complessa della città omonima, fondata su Marte nel momento in cui il dottor Alimantado si allontana nel deserto verso un misterioso incontro alieno, e cresciuta attorno a un eccentrico gruppo di rifugiati e pionieri che si sono radunati presso l’oasi di Alimantado.
Ian McDonald non si fa scrupoli nel creare un Marte pieno di prodigi tecnologici: macchinari intelligentemente avanzati sono attivi nell’opera di ‘terraforming’ e di controllo meteorologico del pianeta, e fanno parte di un bizzarro pantheon dominato da arcangeli meccanici ben integrati nelle vite dei mistici della città marziana.
I sogni dei memorabili protagonisti di Desolation Road sono mitici o razionali, alcuni colmi di odio, altri avidi di meraviglie. Essi attraggono sempre più gente nella città marziana; sempre più uomini e donne con ideali contrastanti, finché un Neo Feudalesimo verrà a regnare sopra ideali diversi come la solidarietà dei lavoratori, la rivoluzione nichilista e la religione delle macchine.
Out on Blue Six, del 1989, è un’opera meno convincente di Desolation Road; descrive una antiutopia, tema classico della fantascienza, e in particolare della fantascienza inglese negli anni del governo della Thatcher a Londra.
Si tratta di un tentativo di riabilitare gli ideali del socialismo, combinando certi motivi alla Heinlein (vedi Rivolta 2100) – l’Uomo, in questo caso la Donna, che ‘impara’ dall’esperienza e ‘cambia’ – con altre tematiche tipicamente alla Van Vogt (certi misteriosi ‘padroni nascosti’), o prese a prestito dalla ricerca del Santo Graal. Il risultato è qualcosa di piuttosto farraginoso e indigesto.
Ma è con il suo terzo romanzo, King of Morning, Queen of Day, uscito nel 1991 e tratto da un racconto precedente dallo stesso titolo, che Ian McDonald esce prepotentemente alla ribalta. Vincitore nel 1992 del premio Dick per il miglior tascabile dell’anno, King of Morning, Queen of Day riesce a rinnovare in maniera magistrale i canoni del genere fantasy (un po’ come avrebbe fatto Michael Swanwick nel suo originalissimo Cuore d’acciaio).
Il romanzo è un ironico omaggio ai canoni del fantasy, in quanto consiste di tre lunghe novelle su altrettante generazioni di donne, e vi compare anche la classica ‘ricerca’ o quest (basi, come cita lo stesso McDonald nella postfazione al libro, di ogni ciclo di fantasy che si rispetti: “Tutte le storie di fantasy devono essere costituite di tre volumi e includere una citazione della ‘ricerca’”).
McDonald tuttavia non ha nessuna intenzione di annoiare i lettori con un’ennesima imitazione dei temi di Tolkien. La sua folle e ambiziosa trilogia in un libro si rifà a ben altri modelli: ai primi scrittori di fantascienza e al poeta Yeats nella sua prima parte; a Beckett, Flann O’Brian e soprattutto al Joyce dell’Ulisse nella seconda; e infine, nella terza sezione, partendo da toni tradizionali sull’identità irlandese attraverso i secoli e le generazioni, va addirittura ad assimilare sapori decisamente cyberpunk, con risultati di eccezionale originalità e forza narrativa.
Il vero soggetto del romanzo è l’Irlanda, la sua letteratura, la politica, le guerre, i suoi sogni, gli abitanti, nel corso degli ultimi settant’anni, a partire dal 1913, epoca in cui è ambientata la prima sezione, per finire al presente dell’ultima parte.
Si tratta di un’opera incostante sia come struttura che come risultati; nel complesso appare tuttavia un trionfo di eloquenza e raffinatezza letteraria e rimane impressa nella memoria del lettore.
La carriera narrativa di Ian McDonald prosegue con un’altra opera di grande interesse e di ampio respiro, The Broken Land, del 1992, (uscito come Hearts, Hands and Voices in Gran Bretagna), ambientata in un mondo futuro tropicale ed esotico.
Come nel romanzo precedente, anche qui McDonald si dedica a temi di notevole impegno sociale: il romanzo, in un certo senso un deprimente catalogo delle atrocità del nostro secolo, è incentrato su tematiche quali l’oppressione dei popoli, la violenza e la redenzione. L’ambientazione ricorda a volte l’Irlanda, altre l’Europa nazista, e ancora il Sudafrica, o l’Asia sudorientale. La lotta religiosa e sociale che vi ha luogo riporta sì alla mente il conflitto nord-irlandese cui McDonald è ovviamente molto legato, ma anche altri momenti che hanno costellato e segnato in maniera cruda la nostra epoca (il nazismo, il Vietnam, la barbarie del Sudafrica, ecc.).
La tecnica scelta dall’autore, nello suo stile sempre intensamente poetico e vagamente ipnotico, ricorda quella utilizzata nel primo romanzo; qui il modello cui McDonald si è ispirato è però Geoff Ryman (altro grande autore inglese moderno praticamente sconosciuto nel nostro paese) con i suoi romanzi impegnati e controversi: The Unconquered Country (1986) e The Child Garden (1988).
E giungiamo così a Necroville, del 1994 (uscito in America come Terminal Café), in cui Ian McDonald raggiunge un apice stilistico e narrativo in una trama tecnologicamente e fantascientificamente solida e convincente.
In un mondo in cui l’immortalità è ormai una conquista assodata grazie alle nuove frontiere della nanotecnologia (nella postfazione al libro l’autore rende omaggio a Ian Watson, il primo a sostenere che l’immortalità è il risultato principale che l’umanità potrebbe ottenere dallo sfruttamento delle nanotecnologie), i morti riportati alla vita costituiscono un terzo della popolazione, e sono la spina dorsale della forza-lavoro mondiale. Hanno una loro cultura, i loro costumi, i loro ghetti (la Necroville del titolo) e le loro celebrazioni.
Su questo assunto McDonald riesce a elaborare, attraverso le immagini di una California tecnologizzata e ispanicizzata al di là di ogni attuale previsione, un mondo futuro estremamente complesso e affascinante, fondendo in maniera mirabile il suo stile raffinato e rococò con toni polizieschi e noir alla Chandler e con le pulsioni del cyberpunk.
In definitiva, possiamo sostenere che si tratta di un libro unico e originalissimo, un vero tour de force letterario che consacra definitivamente Ian McDonald nell’Olimpo dei grandi autori della fantascienza contemporanea.
I confini dell’evoluzione (Evolution’s Shore, noto anche come Chaga in Gran Bretagna) è un’ulteriore conferma delle magistrali doti stilistiche e narrative dell’autore. Qui Ian McDonald cambia totalmente registro, lasciando da parte l’esplosiva narrazione high-tech e cyberpunk di Necroville per passare a una narrazione più intima e suadente, incentrata sulla vicenda di alcuni esseri umani alle prese con la complessa esplorazione di un’intelligenza aliena.
I confini dell’evoluzione, cui seguirono altre opere significative come Kirynia (un seguito di quest’opera) e Ares Express (che riprende invece le ambientazioni marziane di Desolation Road), si svolge soprattutto in Africa, all’inizio del ventunesimo secolo. II libro è incentrato sul ‘Chaga’, una misteriosa forma di vita aliena sviluppatasi dopo l’arrivo di una meteora che va rapidamente espandendosi, trasformando il paesaggio africano in un habitat insolito e mostruoso, che ricorda in parte Max Ernst e in parte una giungla nanotecnologica, all’interno del quale nessun essere umano riesce a sopravvivere. Fatto ancora più strano, l’arrivo della meteora coincide con la scomparsa di Iperione, una delle lune di Saturno.
Il romanzo offre una straordinaria visione dell’Africa, che McDonald trasporta in un vicino futuro in cui Nairobi è diventata il centro di un mondo tecnologico di data processing e di venditori di software, un continente trasformato dai molti cambiamenti tecnologici e sociali. L’opera contiene inoltre una lunga serie di riferimenti alla tradizione fantascientifica, che la rendono sicuramente godibile e affascinante. La trasformazione aliena della giungla africana non può non riportare alla memoria Foresta di cristallo (The Crystal World), il grande classico di James Graham Ballard ispirato a un’altra incredibile ‘trasformazione aliena’. Un intervento alieno che si pone lo scopo di apportare una profonda mutazione nei caratteri genetici dell’umanità e un controllo sull’evoluzione della razza umana da parte di alieni benevoli sono in qualche modo alla base di un altro celebre romanzo di Arthur C. Clarke, e cioè Le guide del tramonto (Childhood’s End).
Il punto non è di verificare se parti della geniale opera di McDonald risuonano di toni a noi familiari, ma se l’insieme ha un senso e funziona come romanzo. A nostro avviso il tutto si fonde in maniera esemplare, e gli echi di opere importanti aggiungono anzi un fattore di interesse e fascino: è un po’ il libro che Ballard avrebbe potuto scrivere se avesse tentato di dare una spiegazione scientifica ‘alla maniera di Clarke’, o ciò che Clarke avrebbe potuto comporre se avesse avuto una genuina passione per le immagini metafisiche così tipiche di Ballard.
Qualche mese fa è poi apparso in Italia quello che molti ritengono il suo capolavoro, e cioè Il fiume degli dei (River of Gods, 2004), che ha vinto il premio della British Science Fiction Association come miglior romanzo dell’anno ed è stato candidato allo Hugo.
Il fiume degli dei è il Gange, “che scorre dall’Himalaya al golfo del Bengala attraverso le pianure dell’India settentrionale. Dopo anni di siccità, nell’agosto 2047 la diga costruita illegalmente a Kunda Khadar è diventata il casus belli del conflitto tra due dei vari stati in cui si è scissa l’India degli stati confinanti. Nel frattempo, su un asteroide catturato dal campo gravitazionale terrestre viene trovato il messaggio inciso da un’intelligenza artificiale: e benché si tratti di un reperto più antico del sistema solare, contiene le immagini digitali delle tre persone che potranno decodificarlo, oggi […] Un romanzo di fantascienza con profonde radici nella società del futuro, una sorta di Tutti a Zanzibar dell’era informatica”. Così Christopher Priest descrive il grande romanzo di Ian McDonald su The Guardian.
In realtà queste poche frasi non possono rendere l’idea della grandiosità di un’opera che affronta, attraverso le sue 500 e passa pagine, le storie di dieci personaggi principali e di una schiera di comprimari nell’India (e in particolare nel Bharat di Varanasi, che è uno dei tre stati principali in cui si è suddivisa la grande nazione) del vicino futuro, un’India tecnologicamente ed economicamente assai avanzata ma ancora preda dei suoi storici dilemmi sociali e razziali, tra pregiudizi di casta e guerre semitribali per il controllo dell’acqua, in un mondo ormai impoverito di risorse.
Per concludere, va infine ricordato che Ian McDonald, sulla scia del successo di River of Gods, ha poi composto altri romanzi importanti e ambientati nel futuro del nostro pianeta, in zone altrettanto interessanti, quali Brasyl (ambientato ovviamenti in Brasile) e The Dervish House, che dipinge la Turchia del prossimo futuro. Entrambi i testi hanno anch’essi vinto il premio della British Science Fiction Association come miglior romanzo dell’anno.
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