Lord of Nothing ha dedicato su Instagram un’ottima recensione a Le fortune di Alexander Sand, il romanzo di Francesco Cane Barca uscito per la nostra casa editrice a inizio febbraio.
Ve la riproponiamo qui di seguito con il permesso dell’autore.
Buona lettura!
Alexander Sand è stato pagato per seguire la figlia di un boss, ma la ritrova morta, e ora deve spiegarsi l’accaduto prima di fare una fine peggiore.
Diciamolo da subito, Le fortune di Alexander Sand è un breve romanzo che la maggior parte dei lettori avrà difficoltà a digerire. Eppure è di quelle sfide linguistiche che ogni lettore, una volta tanto, dovrebbe bramare, per uscire dalla comfort zone della lettura facile e prevedibile.
La lingua di Francesco Cane Barca è una costruzione sincopata: frasi brevi, periodi di due o una parola, dialoghi e descrizioni che si mescolano; avanza per gradi, parallelamente allo sfaldamento di Genuana. Come scrive Michele Vaccari: “dritta, scorticata di verbi, congiunzioni, subordinate, come una lebbra di parole che rende la scrittura stessa un’indagine sul futuro dell’io narrante, un interrogativo perturbante, fumosa e improbabile come la guerretta che tiene in assedio lande labirintiche del centro storico da cui il nostro protagonista vuole a tutti i costi scappare: siamo tutti destinati all’omologazione così tipica di questa nostra epoca, o c’è ancora spazio per resuscitare una sana, piratesca decomposizione della lingua?”
Alexander Sand è riluttante, ozioso, lavora per inerzia, sin da subito ci dice che lui questa storia non vuole servirla e cerca in tutti i modi di tirarsene fuori, in barba alla trama e alle convenzioni. Un investigatore vagabondo in giro per l’apocalisse che si trascina da una situazione a un’altra, annotando pensieri, scenari di distruzione e assedio (mari infuocati, edifici in fiamme, cielo perennemente plumbeo, animali modificati), nostalgie e propositi per il futuro.
La trama si muove sul filo del rasoio, sembra apparire solo per circostanze fortuite, come a ricordare a Sand che in fin dei conti non può completamente tirarsi indietro e che bene o male una storia da servire esiste sempre. E in tutto ciò non mancano, di certo, ottime scene noir con sparatorie e morti ammazzati, donne misteriose e personaggi lugubri.
La storia avanza per immagini come un film in bianco e nero. Anzi come una serie di Polaroid, date in pasto al lettore, scattate seguendo lo scatenarsi casuale degli eventi.
La cover del romanzo, oltre ad essere clamorosamente meravigliosa, è quanto di più azzeccato ci possa essere rispetto al romanzo: una visione sovrapposta, sfocata, angolare, plumbea, e allo stesso tempo, in qualche modo, reale, di ciò che è l’apocalisse vissuta da dentro.
“Faccio altro. Questa storia non la servo. Non la controllo come non controllo il cielo. Ho gli occhi che vanno al fuoco e il cervello che va per la sua strada. Ho fame. Sento il mare qua davanti che saranno cento metri e la terra qui sotto ai pietroni vecchi del pavimento: vanno alla pazzia; si lamentano in un mugugno che strazia da giorni la città”.
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