Proponiamo ai nostri lettori la prefazione che Giorgio Majer Gatti ha scritto per introdurre Propulsioni d’improbabilità. Crediamo sia un testo molto efficace per presentare la situazione che vive la letteratura di fantascienza in Italia, la sua evoluzione e i suoi rapporti con il panorama più vasto della scena culturale italiana.
Buona lettura.
“Sempre raccontava solo ciò che aveva dimenticato.”
V. Agnetti, Feltri 1968-1971
La fantascienza di un paese che ha visto il lavoro di scrittori, traduttori, editor e curatori come Giorgio Monicelli, Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Lino Aldani, Roberta Rambelli, Anna Rinonapoli, Gilda Musa, Vittorio Curtoni, Riccardo Valla e Antonio Caronia – solo per citare alcuni tra coloro che ci hanno lasciato un’eredità inestimabile – non dovrebbe ritrovarsi ancora oggi a rincorrere affannosamente una cittadinanza critica1. Ma la storia della fantascienza italiana, si sa, è talmente specifica e complessa da non poter essere ridotta alla posizione che la science fiction occupa nel mondo letterario internazionale.
Proprio Fruttero & Lucentini raccontavano della loro “conversione istantanea”, quasi paolina, avvenuta in seguito alla razzia dei paperbacks americani trovati su una bancarella, vicino a piazza San Carlo. Quel nuvoloso pomeriggio torinese fu teatro dello scherzo più riuscito che il destino avrebbe potuto riservare ad un genere così popolare: “Ciò che sappiamo noi per esperienza diretta, è che la fantascienza arrivò in Italia attraverso filtri niente affatto popolari”2. Non solo: “Fu il dovere, non il diletto, a guidarci verso di essa”3. Proprio la science fiction dei pulpmagazines, quelli dalle “copertine chiassose, aggressive, piene di mostri, robot, fanciulle spaziali”4, si ritrovò a dipendere dall’entusiasmo e dalla curiosità di un poeta, Sergio Solmi, che dopo la soffiata dell’amico Monicelli chiese ai due rampolli di casa Einaudi di fare rapporto su quel genere strambo, ancora poco o nulla conosciuto in Italia fino a quel momento. La consacrazione letteraria di quell’operazione editoriale non tardò ad arrivare, con la celebre prefazione di Solmi a Le meraviglie del possibile.
È indubbio che l’esser stati “lettori di secondo grado”5 abbia avuto un peso notevole sul destino della fantascienza italiana che, piaccia o meno, non può prescindere dal lungo lavoro di F&L. Ma un peso ancora maggiore ebbe il passaggio che tutti i fantascientisti italiani ricordano, una ferita quasi mortale e mai del tutto rimarginata: “Lo scopritore insiste, vorrebbe sapere perché in Italia si scriva poca e non memorabile fantascienza […]”6. Reagendo a questa brevissima e tagliente sequenza di parole, i diversi umori degli scrittori italiani di fantascienza si sono nel tempo condensati, con tutta la loro sana voglia di rivalsa e il loro desiderio di smentire questi padri nobili fin troppo scettici.
E avevano un bel dire, F&L, di non esser mai caduti in “quel genere di condiscendenza che afflisse lungamente gli autori e lettori del «genere» in Usa”7, perché ciò che effettivamente dimostrarono nei confronti degli scrittori italiani – sempre troppo poco presenti – fu molto spesso il contrario. Le motivazioni che potevano stare dietro ad una tale presa di posizione erano molteplici, come ad esempio lo scarso lavoro di ricerca sulla lingua italiana di molti scrittori di fantascienza (e in taluni casi un certo dilettantismo) o la loro relativa mancanza di originalità; ma dieci anni prima, in occasione di un’intervista, Fruttero aveva offerto elementi utili per comprendere almeno parte di quel giudizio: “Noi non abbiamo naturalmente pregiudizi verso gli autori di fantascienza italiani, è piuttosto che lo scrittore di fantascienza italiano si trova davanti a delle difficoltà che gli anglosassoni non hanno. Facciamo il caso più banale per la fantascienza: supponendo un arrivo di astronave marziana, un disco volante marziano, o venusiano o di Aldebar, che arriva – non so – a Little Tree per esempio, nel Nevada, in uno Stato americano spaziosissimo, vasto… abbiamo dietro questi spazi, queste parole, questi nomi di città, tutto un bagaglio figurativo ricchissimo, cioè l’FBI che viene subito informato, il Presidente degli Stati Uniti, il Congresso; lo stesso paesaggio è immenso, vastissimo. Immaginiamo la stessa situazione nel comune di Boffalora in provincia di Milano. Il disco atterra e arrivano i pescatori del Ticino e chi avvertono? L’FBI? No, avvertono il maresciallo dei Carabinieri, poi da lì telefonano al sindaco, il sindaco prende una Seicento e corre dal prefetto… Si vede subito che la situazione drammatica cade, cade [disgraziatamente] e diventa un bozzetto, un bozzetto di vita locale, che può avere degli effetti ironici, divertenti, ridicoli, folkloristici, ma che non ha nessuna forza drammatica, nessuna presa sul lettore. Una storia così va giocata sullo scherzo.”8
Le difficoltà segnalate da Fruttero, per quanto pragmatiche e di mestiere, possono ancora oggi apparire pretestuose e non pienamente giustificabili attraverso la sola concezione letteraria “di secondo grado” che lo contraddistingueva. Tanto che l’esigentissimo Giorgio Manganelli, di certo non meno sensibile alle goffaggini e spesso sprezzante nei confronti della fantascienza9 (che a suo modo, comunque, ammirava), sosteneva la tesi diametralmente opposta: “Che ci interessa un’astronave nell’Iowa o un disco volante a Cape Kennedy? Noi vogliamo incontrare i marziani in via Manzoni, angolo via della Spiga; che quelle tre dita rossastre si posino sulla spalla mentre stiamo per acquistare un giornale («Rumor continua le trattative») in piazza Castello o a Galleria Colonna, e che gli occhi sgomenti della giornalaia ci annuncino l’inizio della fine. E voltarci con calma e dire – a chi? – «Era ora».”10
Da allora la fantascienza ha fatto molta strada, ampliando il suo campionario ben oltre i marziani e le astronavi. Ci sono state altre stagioni e altri cicli, tutti con i loro temi, i loro stili e i loro problemi. La ricostruzione storico-critica delle pubblicazioni, lavoro egregiamente svolto da Giulia Iannuzzi11 negli ultimi anni, mostra una vivacità e delle caratteristiche che chiunque voglia occuparsi di fantascienza deve imparare a prendere in considerazione12: non ci si è fermati al periodo ‘50-’70, e soprattutto non ci si è fermati ai giudizi di F&L. Almeno a partire dalla “spallata letteraria” della New Wave, come la definiva Vittorio Curtoni13, anche la fantascienza italiana aveva iniziato ad acquisire una maggiore autonomia e un maggiore senso di consapevolezza, consolidata anche a seguito del fenomeno cyberpunk. Ed eccoci finalmente arrivati al punto.
Quando abbiamo iniziato ad impostare il lavoro per Propulsioni d’improbabilità, non avevamo in mente né un titolo, né uno specifico tipo di fantascienza, né un numero ristretto e già stabilito di autori da contattare, magari accomunati da precise caratteristiche. Non si trattava, come può forse sembrare, di poche idee ma confuse. Sentivamo l’esigenza di offrire ai lettori dei racconti di fantascienza italiana che provassero a scrollarsi di dosso alcune scorie fin troppo sedimentate nel genere, che peraltro non avevano mai dato vita a mutazioni degne di nota. Non volevamo più partire da una definizione, ma volevamo vedere dove saremmo riusciti ad arrivare. L’unica cosa che contava era il confronto diretto con gli autori, coloro che realmente producono il genere e che ne mostrano lo stato di salute. Coloro che lo fanno e lo disfano, continuamente. Abbiamo puntato sulla loro elasticità fantascientifica, sulla loro capacità di sintonizzarsi su frequenze non immediatamente riconoscibili e nominabili, ma ben percepibili nell’aria. L’ossessione definitoria tipica di molti fantascientisti non ci ha mai conquistati, e su questa strada abbiamo trovato un validissimo intercessore in John Rieder, lo studioso che a nostro avviso ha offerto la lettura più lucida e condivisibile sull’argomento, nel suo On Defining SF, or Not: Genre Theory, SF, and History14. In questo articolo del 2010 Rieder elencava cinque punti fondamentali che non potevano vederci più d’accordo:
1. la fantascienza è storica e mutevole;
2. la fantascienza non ha un’essenza, non ha singole caratteristiche unificanti e non ha un punto di origine;
3. la fantascienza non è un insieme di testi, ma un modo di usare i testi e di costruire relazioni tra di essi;
4. l’identità della fantascienza è una posizione differenzialmente articolata in un campo di generi storico e mutevole;
5. l’attribuzione a un testo di un’identità fantascientifica costituisce un intervento attivo nella sua distribuzione e ricezione.15
Le possibili conseguenze di una tale impostazione sono evidenti, e ci sembrano poter convivere con idee già circolanti nel campo fantascientifico italiano, come ad esempio l’idea che la narrativa fantascientifica sia una delle espressioni della letteratura fantastica, e che sia una narrativa di idee16. Ciò che più contava, in ogni caso, era l’estrema convergenza di quelle tesi con l’antologia che stavamo immaginando.
Abbiamo chiesto agli autori di non rispettare pedissequamente i dogmi della (propria) fantascienza, e di non limitarsi ad offrirci semplici variazioni sul tema. Abbiamo chiesto anche di non sentirsi legati alla hard science fiction né di passare forzatamente per la space opera o i viaggi nel tempo o l’introspezione psicologica. Anche quando sono emersi questi classici caratteri fantascientifici, ciò è avvenuto senza rigide imposizioni sul “più fanta che scienza” o sul “più scienza che fanta”: se la terminologia italiana non imponeva nulla in questo senso, non vedevamo la necessità di farlo noi.
Non abbiamo chiesto tutto ciò per spirito polemico, ma semplicemente perché volevamo mettere alla prova la fantasia degli autori, osservarli all’opera nella paradossale situazione di una commissione senza tema specifico o filo conduttore prestabilito. Il punto di incontro per tutti gli autori – sia quelli che muovevano dichiaratamente dal genere che quelli più accostabili alla letteratura mainstream – era fissato sul versante fantastico della fantascienza, quello che avevamo deciso di esplorare. Ne è emersa una grande varietà di tratti formali, di storie, di ambientazioni e di sensibilità, ma soprattutto una grande voglia di lavorare sulla forma racconto, con risultati che spetterà al lettore giudicare.
Chiunque abbia letto letteratura fantascientifica ha avuto a che fare almeno una volta con dei racconti, queste piccole meraviglie a orologeria che il nostro genere ha sempre trattato con particolare riguardo. In questa antologia, che si propone di mostrare gli slittamenti e le oscillazioni che rendono del tutto arbitrarie le etichette, emerge spontaneamente una tendenza, forse sintomatica, legata ai dilemmi di una sempre più improbabile memoria.
Memoria che ci ha riportati inevitabilmente all’eredità fantastica e fantascientifica di alcuni dei più importanti scrittori italiani del ‘900, quella che sempre Curtoni aveva definito Fantastico Nobilitato nell’ultimo capitolo della sua tesi di laurea, Le frontiere dell’ignoto17, poi divenuta libro.
Gli unici a non mancare mai in questo tipo di ricostruzioni sono Calvino e Buzzati, seguiti da un Primo Levi fantascientifico (o Damiano Malabaila), al quale è stato concesso ancora troppo poco spazio; ma meriterebbero un posto ben più importante anche Paolo Volponi e Guido Morselli. A Landolfi viene concesso qualcosa in più (sempre con un po’ di diffidenza e di riluttanza), soprattutto grazie a La pietra lunare e a Cancroregina, anche se nessuno sembra prendere seriamente ciò che scrisse in Rien Va: “Mi par chiaro che sola la letteratura fantascientifica è sulla strada giusta, e se ho detto altra volta il contrario tanto peggio, o l’avrò fatto per ignoranza dei testi migliori”; o anche: “Non sarei alieno insomma dal pensare che la fantascienza stia ponendo o potrebbe porre le basi della prossima letteratura”18.
Chi scrive, forse anche per ragioni anagrafiche, non ha mai sentito la necessità di proiettare il faro nobilitante sulla fantascienza né ha mai visto in essa un’occasione di riconversione intellettuale, il terreno ancora non colonizzato sul quale sfogare la propria audacia e accrescere di soppiatto il proprio prestigio simbolico. Per uno strano intreccio di condizioni e fattori, la fantascienza è sempre apparsa a questi occhi come parte della letteratura, senza che si ponesse mai il problema della sua legittimità culturale. Ma se tutt’oggi molti lettori e molti scrittori di fantascienza non accettano e non accolgono le migliori espressioni della letteratura italiana del ‘900 e il loro portato fantascientifico (esplicito o implicito, cosciente o meno) è perché combattono contro il nemico sbagliato (l’odiato mainstream). Come ogni letteratura di origine “industriale” e popolare, dunque prodotta direttamente per il mercato, anche la fantascienza ha subito un processo di marginalizzazione sociale, così come i suoi lettori (c’è una certa correlazione tra la posizione di un genere nel campo letterario e la posizione dei suoi lettori nello spazio sociale). Tanto che, come diceva il sociologo Pierre Bourdieu, “possiamo confessare senza vergogna di ignorare tutto della SF, o che l’abbiamo letta «così, velocemente», all’occasione, senza nemmeno riuscire a dire nomi di autori, o senza avere la benchè minima idea delle filiazioni o delle scuole”19, cosa che difficilmente qualcuno si sognerebbe di fare rispetto alla letteratura mainstream, codificata da tutta una cultura.
Ma il nemico, appunto, non è affatto la letteratura mainstream. Il nemico sta nel mancato riconoscimento dell’origine sociale che caratterizza la gerarchia dei generi letterari, gerarchia che ha sempre le sue specificità editoriali e una storia nazionale. Se la fantascienza riuscirà a riconoscere che la legittimità di quella gerarchia è frutto dell’arbitrarietà sociale – e non di una originaria inferiorità ontologica, o di una differenza di natura insopprimibile – riuscirà a fare l’ultimo passo per farla finita con i complessi, e forse anche per farla finita con l’innalzamento dei muri di confine che portano alla ghettizzazione e all’autoreferenzialità di cui si è sempre parlato20. La nostra proposta è per forza di cose bifocale: la ghettizzazione non ha la sua origine in un punto, ma sta nella relazione sociale. Ci è parso allora necessario parlare ai fantascientisti come ai non fantascientisti, senza nascondere la parola fantascienza dietro alla parola fantastico, ma mostrando il legame tra i due modi d’essere come una via privilegiata verso lo smantellamento di certe barriere. Non sappiamo se tutto ciò potrà accadere, e soprattutto non sappiamo se questo nostro tentativo avrà un qualche ruolo, se smuoverà anche solo qualche lettore. Quello che sappiamo è che la fantascienza non ha bisogno di costruirsi quarti di nobiltà letteraria, così come non ha bisogno della consacrazione sociale della letteratura o della critica mainstream. Le basterà non prendersi troppo sul serio: Douglas Adams insegna.
Propulsioni d’improbabilità è un’antologia di fantascienza sia contingente che siderale, sia quotidiana che assoluta, che non scende a patti con il realismo (per nulla disprezzato) anche quando lo tocca da vicino. È per sua natura improbabile, ed è amica della patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie».
I racconti che leggerete hanno legami invisibili tra loro, che non sono stati mai voluti né decisi: lunghi e brevi, più o meno narrativi, immediatamente fantascientifici o più duri da scavare nel loro guscio fantastico, tutti i racconti esorcizzano tensioni narrative sottostanti, rivelano politiche, muovono critiche sociali, attraversano disturbi e ossessioni, mettono sul piatto felicità malinconiche o illuminate, psicologie pubbliche e oscurità private, timori storici e paranoie. Non resta che lasciarli parlare.
Giorgio Majer Gatti
Milano, maggio 2017
NOTE
1 – G. Iannuzzi, Distopie, viaggi spaziali, allucinazioni. Fantascienza italiana contemporanea, Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 94-98.
2 – C. Fruttero e F. Lucentini, Incontro ravvicinato con la fantascienza [1978], in I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, Einaudi, Torino 2003, p. 66.
3 – Ibid, p. 67.
4 – Ibidem.
5 – “Restiamo dei lettori «di secondo grado», che avevano già visitato appassionatamente Kafka e Borges; mentre l’autentico fan è quello arrivato alla fs senza preamboli, senza altri parametri […].”, Ibid, p. 71.
6 – C. Fruttero e F. Lucentini, cit., p. 73.
7 – Ibid, p. 71.
8 – C. Fruttero, intervista rilasciata a L’Approdo, trasmissione rai del 1968. Traggo la citazione dalla tesi di dottorato di Giulia Iannuzzi [2011-2012], Letteratura fantascientifica italiana. Un percorso tra istituzioni e testi dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, nota 198, p. 127, scaricabile all’indirizzo http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/8594/1/Iannuzzi_phd.pdf
9 – Sul rapporto di Manganelli con la fantascienza si veda R. Valla, La famosa polemica Manganelli Donaggio, in «Robot», a. III, n. 22, gennaio 1978, pp. 132-137.
10 – G. Manganelli, L’attesa dei marziani, in Ufo e altri oggetti non identificati 1972-1990, Mincione Edizioni, Roma 2015, pp. 9-10.
11 – Che oltre al libro già citato, ha pubblicato anche Fantascienza italiana. Riviste, autori, dibattiti dagli anni cinquanta agli anni settanta, Mimesis, Milano-Udine, 2014.
12 – È questo l’unico vero rilievo da fare al numero 68 (2014) di «Nuovi Argomenti» dedicato alla fantascienza italiana, curato da Carlo Mazza Galanti e significativamente intitolato Urania 451. Che anche “autori non versati” nel genere si cimentino con la fantascienza è qualcosa di importante e pienamente condivisibile, come anche la nostra antologia vuole dimostrare, seppur attraverso una diversa impostazione. Lasciano perplessi invece le lacune nell’affrontare la storia della fantascienza italiana dagli anni ‘70 ad oggi. È difficile comprendere come un numero dedicato al genere – che per quanto possa non mirare all’esaustività, si dà comunque l’obiettivo di offrire al lettore uno sguardo veritiero e rappresentativo del panorama fantascientifico italiano – possa lasciar da parte quasi cinquant’anni di produzione narrativa e saggistica. Resta in ogni caso auspicabile il superamento di quello che ancora oggi appare un dialogo tra sordi, fosse anche solo per creare le condizioni per un conflitto produttivo.
13 – L’intervista di Emiliano Farinella a Vittorio Curtoni si può leggere qui: http://www.intercom.publinet.it/1999/curtonii.htm
14 – J. Rieder, On Defining SF, or Not: Genre Theory, SF, and History, in Science Fiction Studies, Vol. 37, No. 2 (July 2010), pp. 191-209, sf-th Inc.
15 – Ho tradotto direttamente i cinque punti da J. Rieder, cit., p. 193.
16 – Un’idea sostenuta in particolar modo da Giuseppe Lippi.
17 – V. Curtoni, Le frontiere dell’ignoto. Vent’anni di fantascienza italiana, Nord, Milano 1978.
18 – T. Landolfi, Rien Va, Vallecchi, Firenze 1963, p. 195.
19 – P. Bourdieu et Y. Hernot, Littérature et para-littérature, légitimation et transferts de légitimation dans le champ littéraire: l’exemple de la Science-Fiction [1985], traduzione mia in corso di pubblicazione.
20 – Già nel 1978 Luigi Russo parlava del problema della ghettizzazione, ad esempio nell’Indroduzione a aa.vv, La fantascienza e la critica. Testi del Convegno internazionale di Palermo, Feltrinelli, Milano 1980. A oggi non sembra ci siano stati passi avanti significativi sul tema.