Vi presentiamo l’introduzione a Il Sole dei soli che Davide Mana ha scritto per la nostra edizione del romanzo di Karl Schroeder.
Davide Mana è uno dei maggiori esperti di letteratura di genere in Italia. Oltre ad essere un ottimo scrittore gestisce da anni Strategie Evolutive, uno dei blog più significativi nel panorama del fantastico italiano.
Esiste un diffuso pregiudizio nei confronti della space opera, che viene spesso indicata come una forma di intrattenimento semplicistico e non significativo, come un esempio ideale di quella fantascienza che non contribuisce nulla di buono, salvo, appunto, garantire poche ore di innocua distrazione. Il pregiudizio nasce insieme con l’etichetta – quando Bob Tucker, sulla rivista Le Zombie, nel 1941, scrisse: “In questi frenetici giorni di creazione di nuove definizioni, ne proponiamo una. I western vengono chiamati ‘horse opera’, le storie strappalacrime per le mattinate delle casalinghe vengono chiamate ‘soap opera’. Per la mal scritta, farraginosa, schifosa, ritrita storia di astronavi, e se è per questo anche di salvataggio di mondi in pericolo, offriamo ‘space opera’.”
La space opera, ci è stato detto, è il motivo per cui il pubblico generalista non prende sul serio la fantascienza. E come potrebbe prendere sul serio un’accozzaglia di navi spaziali, mostri, pianeti misteriosi ed astronaute in bikini? È narrativa deteriore.
Con la sua abituale simpatia, Darko Suvin, nel 1972 parla del suicidio della fantascienza quando questa sceglie di “regredire nella favola (ad esempio la space opera col triangolo eroe-principessa-mostro, in costumi da astronauta)” [On poetics of SF Genre, College English, Dicembre ‘72].
Eppure non saremmo qui, oggi, senza i lavori di Edmond Hamilton e di Jack Williamson, che fecero della eccellente space opera. Nel corso dei decenni il sottogenere non ha mai smesso di mutare, di adattarsi all’evolvere dei gusti del pubblico da una parte, dello stato dell’arte dall’altra. Il sempreverde ciclo della Fondazione, dell’immarcescibile Isaac Asimov, è indubbiamente space opera. Jack Vance scrisse space opera, così come P.J. Farmer. Sono space opera tanto Dune, di Frank Herbert, che Ringworld, di Larry Niven. Autori diversi e indispensabili quali C.J. Cherryh e David Brin hanno scritto space opera, e nessuno si sognerebbe di archiviarli come autori di mero intrattenimento. Joan Vinge e Vernor Vinge hanno scritto entrambi space opera – opere estremamente diverse e ugualmente fondamentali per comprendere l’evoluzione del genere.
Negli ultimi vent’anni gli autori che hanno legato il proprio nome all’avventura spaziale rappresentano un catalogo di quanto di più eccitante e innovativo sia stato presentato nell’ambito della fantascienza: Iain Banks, Ken MacLeod, Linda Nagata, Greg Egan, Alastayr Reynolds, Colin Greenland, Charles Stross, David Zindell. E questa è solo una breve lista compilata a memoria. E nessuno si sognerebbe di definire deteriore la produzione di questi scrittori, o facili e innocue le idee che i loro lavori veicolano.
Con un vago senso di imbarazzo si è provato a proporre una definizione di “nuova space opera”, come a sottintendere che quella vecchia fosse un’altra cosa, meno interessante, meno importante. La nuova space opera, ci dicono, unisce qualità letteraria e rigore scientifico al tradizionale sense of wonder. Ma non è sempre stato così?
Ma lasciamo le etichette a chi si occupa di marketing e pensiamo alle storie. Fra gli autori che stanno facendo dell’ottima fantascienza e dell’ottima space opera, Karl Schroeder rappresenta un esempio quasi perfetto dell’evoluzione contemporanea del genere.
Karl Schroeder (classe 1962) è uno scienziato che scrive fantascienza: nella “vita reale” è un esperto di Strategic Foresight, uno specialista nello sviluppo di modelli previsionali in ambito sociopolitico ed economico. Quando non pensa al futuro per lavoro, Karl Schroeder scrive storie ambientate nel futuro.
Il suo secondo romanzo, Ventus (che ci risulta essere ancora disponibile gratuitamente in formato digitale sul sito dell’autore), mostra in nuce tutti gli elementi che caratterizzano la produzione dell’autore canadese: un livello di qualità narrativa superiore alla media, un vasto affresco galattico che rimane sullo sfondo ma è assolutamente integrale alla storia, un mondo al contempo familiare ed alieno, protagonisti alle prese con problemi la cui natura è tanto scientifica quanto politica.
In Ventus – e nel successivo Lady of Mazes – l’autore crea il concetto di “Thalience”, per definire uno stato intermedio, a livello cognitivo, fra il soggetto e l’oggetto. E riesce a farlo in due romanzi estremamente divertenti ed altamente leggibili – che sono space opera.
Più in generale, Schroeder non ha paura di lavorare con oggetti e concetti molto grandi e porta avanti l’idea centrale che non ci sia una separazione netta e dicotomica fra tecnologia e politica, fra scienza e società. Concetti, questi, che confluiscono nella sua serie di Virga, al momento probabilmente la sua opera più popolare.
In Virga l’umanità ha trovato più economico – rispetto alla terraformazione dei rari pianeti di tipo terrestre – colonizzare i sistemi delle nane brune, creando ciclopici habitat che sono essenzialmente bolle di atmosfera racchiuse in un sottilissimo guscio di fullerene. All’interno di queste sacche orbitali abitabili, l’energia per la sopravvivenza e le attività umane è fornita da piccoli soli artificiali a fusione. Ed è qui che inevitabilmente la tecnologia diventa politica – chi controlla il sole artificiale controlla la società.
In Virga la stratificazione sociale è anche distribuzione spaziale: mentre la nobiltà si crogiola nella luce calda del sole, lontano da questo, nelle lande senza luce, vivono gli emarginati. E talvolta qualcuno prova ad avviare un proprio piccolo sole pirata, sfidando l’autorità e affrontando conseguenze spesso terribili.
Il ciclo di Virga fornisce quindi a Schroeder le basi per giocare su più livelli. I romanzi sono divertenti e avventurosi, costruiti su un susseguirsi di scene d’azione che sfruttano appieno il disorientamento del lettore nel confrontarsi con la natura vertiginosa dell’ambiente in cui si svolgono. I personaggi sono delineati con cura e offrono al lettore punti di vista attraverso i quali è possibile esplorare differenti aspetti dell’universo. Sono persone il cui destino ci interessa, ci coinvolge. Al contempo Schroeder può sviluppare un’intelligente e tutt’altro che banale meditazione sulla natura politica della conoscenza, sulla libertà e sull’economia, sulla capacità di adattamento dell’essere umano come individuo e come collettività. E poi c’è l’elemento visivo, coreografico – non solo i panorami davvero alieni del mondo di Virga, ma anche il gusto un po’ retrò per le uniformi e gli abiti di corte, per l’ottone e il legno lucido, per la contrapposizione fra alta tecnologia barocca e la bassissima tecnologia quasi al limite del bricolage.
Il Sole dei soli, il primo volume della serie, crea questo mondo, presenta i personaggi e innesca l’azione con l’accensione di un primo, coraggioso sole pirata. Il romanzo è stato segnalato come miglior opera di fantascienza nel 2006 dalla rivista Kirkus, e nominato al John W. Campbell Award nel 2007, oltre ad essere stato finalista al premio Aurora nel 2007. A Il Sole dei soli hanno fatto seguito altri quattro titoli: Queen of Candesce, Pirate Sun, The Sunless Countries e Ashes of Candesce.
“Vari temi politici emergono dai miei libri mentre li scrivo. Principalmente ciò che volevo fare coi libri di Virga era mostrare la fertilità della fantascienza. Ho deciso di non usare idee da epoche differenti, ma delle storie classiche come modelli. Il Sole dei soli era qualcosa a cui ho pensato consapevolmente come a Master and Commander nello spazio. Queen of Candesce era il Conte di Montecristo. Pirate Sun era L’Odissea. Con Sunless Countries, ciò che avevo in mente era Bridget Jones.
Ho anche usato della scienza vecchia. Virga è progettata come fantascienza newtoniana. Non c’è alcuna scoperta scientifica, utilizzata nella serie, successiva al 1940. Volevo mostrare che c’è ancora molto da scoprire e da inventare nella SF anche se ci limitiamo a ciò che sapevamo cento anni or sono.”
[Karl Schroeder, intervistato da Kim Addonizio per io9.com, 15 ottobre 2009]
Nel suo complesso il ciclo di Virga non è soltanto uno straordinario esempio della vitalità, dell’intelligenza, della qualità e dell’importanza della fantascienza contemporanea. Non è solo una lettura divertente, coinvolgente e significativa. È anche un vivido pro-memoria. Ci ricorda perché abbiamo cominciato a leggere fantascienza, e perché continuiamo a farlo. Senza necessariamente regredire nella favola.
Davide Mana
Asti, Maggio 2014